M… come Marilyn

La finlandese Anna Eriksson firma un’opera disturbante che mette in discussione l’immagine e il corpo femminile.

Carlo Valeri
2 min readSep 13, 2018

C’è una Marilyn nuda che si aggira come un fantasma in una villa sopra una spiaggia californiana. Uomini che la guardano. Una donna la desidera. Registrazioni audio di conversazioni private provenienti dal passato si accavallano tra loro in una dimensione onirica in cui è soprattutto il corpo della donna a essere filmato, tagliato, masturbato. Lo sguardo dell’uomo immortala la donna nel sogno e nella perversione. E lo condanna nel sogno e nella perversione. Oppure vediamo non la trasfigurazione di una dichiarazione di impotenza femminile, ma anzi la sua unica possibile liberazione attraverso l’annientamento del corpo. Un corpo/immagine in questo caso. Del resto…. Marilyn è mai esistita? Per tornare a vivere deve farsi solo ed esclusivamente carne? O siamo in un misterioso aldilà lynchiano in cui i giochi sono fatti, Marilyn è prigioniera dell’immaginario e può permettersi solo una fuga notturna in Messico come fosse un film western?

Uno dei film più estremi dell’ultima edizione della Mostra internazionale del cinema di Venezia è M, presentato alla Settimana della critica. È un esordio respingente e rischioso. L’autrice si chiama Anna Eriksson, è un’affascinante e geniale musicista finlandese di 41 anni che ha dedicato gli ultimi quattro a progettare e realizzare questa opera prima, di cui è interprete, regista, sceneggiatrice, montatrice, music composer, scenografa e costumista. “Se penso alla Monroe, penso alla violenza. Quando si tratta di lei morte e sessualità vanno insieme” ha detto la regista in un’intervista.

La sua è una performance di Body Art che si immerge nello spazio/set di David Lynch, ma raccoglie anche gli influssi psichedelici del Jonathan Glazer di Under the Skin. M è un viaggio nell’inconscio femminile come se ne sono visti pochi in questi anni. Opera visionaria, cupa, antinarrativa, concettuale, emanazione di un cinema che si mette in gioco completamente. Tra narcisismo e disperazione, eros e morte, luce e buio. Carrellate impossibili dentro il simulacro del corpo femminile. Le labbra e la vagina. E quasi nessun riferimento al pop per un film che appare soprattutto come un atto sacrificale tra cristologia e paganesimo, replicato all’infinito fino a raggiungere una finale (e dilaniata) rigenerazione nel corpo/donna automatizzato.

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Carlo Valeri

Critico cinematografico, saggista, giornalista pubblicista. Direttore della rivista “Sentieri selvaggi 21st”.